Il vostro ultimo album si intitola Boulevard de l’Independence. Perché questo titolo?
È un titolo in cui si intrecciano il passato e il presente dell’Africa Occidentale. Prima dell’arrivo degli europei, gli attuali Mali, Senegal, Guinea, Guinea Bissau, Gambia, Burkina Faso e Costa d’Avorio formavano l’impero Mandingo. Con la colonizzazione, questa unità geografica, e da molti punti di vista anche culturale, è stata spezzata con la creazione dei vari Stati che oggi compongono il mosaico di quell’area. Molte famiglie sono state divise.
Attraverso questo mio ultimo lavoro, auspico che quell’unità/quei legami culturali un tempo così forti possano rinascere. Ecco perché ho deciso di coinvolgere nel mio progetto musicisti provenienti da varie zone dell’Africa Occidentale, formando la Symmetric Orchestra.
Boulevard de l’Independence è il nome di una via di Bamako, la capitale del Mali. Partendo da quel viale si possono raggiungere tutti i Paesi che una volta costituivano l’impero mandingo. È una sorta di punto di raccordo, ecco perché l’ho scelto come simbolo del messaggio di solidarietà e di ricostruzione culturale che desidero diffondere con il mio lavoro.
Situazioni di povertà diffusa, come è purtroppo il caso del continente africano, portano le persone a essere vulnerabili e a lasciarsi abbagliare da modelli culturali esterni. Le proprie radici e i propri costumi rischiano di venire dimenticati o rinnegati. E la miseria è terreno fertile per alimentare guerre di potere. Attraverso la cultura e il recupero della propria identità la condizione di povertà che attanaglia molti Paesi africani può mutare.
Cosa significa essere griot oggi?
Il griot nella tradizione mandinga è colui che riconcilia, fa la pace, è il comunicatore, è il depositario della storia del popolo, salvaguardia la storia ed è la memoria del popolo. E oggi la figura del griot è ancora estremamente vitale e importante ed è un ruolo che si tramanda di generazione in generazione. La tradizione è orale. Si nasce.
Io mi sento un griot che travalica i confini del proprio Paese e che diffonde la musica e la cultura mandinga in tutto il mondo.
Avete realizzato un album meraviglioso con il compianto Ali Farka Tourè. Cosa vi ha lasciato questo grande artista? Quali ricordi avete di lui?
Quell’album ci ha permesso di ottenere un importante riconoscimento, il grammy award, nella categoria best traditional music. Ho suonato con grandi musicisti di varia nazionalità, ma non ho mai incontrato una persona come Ali. Oltre a essere stato un grande artista, era una persona eccezionale, generoso, aperto, un genio della musica, era il leone del deserto, grazie alla sua musica ha fatto conoscere in tutto il mondo il nome della nostra patria, il Mali.
È possibile scoprire nuovi virtuosismi con la kora?
In realtà le tecniche sono già state tutte sviluppate. La kora è uno strumento che può essere suonato in vari modi: Mori Kante ha il suo stile, Ballaké Sissoko, ne ha un altro, come pure il gruppo Ba Cissoko che utilizza le distorsioni wa wa, un po’ come Jimi Hendrix… Ognuno ha il proprio stile…
Intervista raccolta nel 2006 da Silvia C. Turrin per il magazine Etnica & World Music