Tinariwen, echi dal deserto

Amalgamando rock, blues e musica tradizionale tuareg, il gruppo dei Tinariwen ha varcato le frontiere del Sahara diventando uno degli ensemble africani più amati e conosciuti. In occasione dell’uscita del nuovo disco dal titolo Emmaar, il collettivo torna a suonare in Italia.

Il popolo tuareg e il loro habitat selvaggio scandito da dune e sabbia hanno da sempre attratto l’Occidente. La loro musica è fiera, piena di sfumature poetiche e di energia, tanto da essere parte integrante dell’identità di questa popolazione di origine berbera. I Tinariwen hanno le loro radici culturali nell’arido ambiente desertico del Mali e nell’idioma tamashek, cui si sono ispirati per il loro nome che significa “deserti”, o meglio “spazi vuoti”. Come sa chi ha viaggiato nel Sahara, “vuoto” non significa per forza privo di vita, non significa spostarsi nel “nulla”, bensì vuol dire tornare all’essenzialità, al nucleo più vero della vita.

La musica dei Tinariwen porta con sé questi rimandi cui si unisce la condizione di un popolo “senza terra”, perché i Tuareg vivono ancora in una no man’s land, costretti da periodi di siccità e dai processi di “modernizzazione” ad abbandonare i loro luoghi prediletti, Mali e Niger, per raggiungere Algeria e Libia. È proprio nella nazione un tempo governata dal colonnello Gheddafi che si è formato il collettivo dei Tinariwen: i componenti, un tempo dediti alla vita nomade, per necessità e per forza hanno preso parte involontariamente al servizio militare di una Libia che un tempo poteva rappresentare una voce panafricanista. In questo contesto così instabile, i Tinariwen hanno forgiato le loro prime canzoni ispirandosi a melodie tradizionali, con liuti e flauti, aggiungendo chitarre elettriche e percussioni. La loro è diventata una musica altamente evocativa, viscerale e al contempo essenziale, perfetta espressione dei paesaggi complessi e multiformi del Sahara. Le loro composizioni inneggiano a un risveglio politico, parlano delle difficoltà connesse alla condizione difficile dell’esilio, alla repressione della cultura e dell’identità dei popoli nomadi del deserto […]

Era il 2001 quando uscì il primo progetto musicale The Radio Tisdas Sessions dominato dall’intreccio di chitarre (ben sei) e percussioni sviscerato su un tappeto di voci femminili, come è tipico della musica tradizionale dei nomadi del deserto. Da allora, i Tinariwen hanno realizzato altri cinque album, l’ultimo dei quali è Emmaar pubblicato nel febbraio 2014. Per questo lavoro la band ha dovuto lasciare il Sahara per attraversare l’oceano Atlantico e giungere in un’altra zona desertica, il parco nazionale Joshua Tree, negli Stati Uniti (che riporta alla memoria lo storico album degli U2).

Prodotto da Patrick Votan, la maggior parte del materiale di Emmaar è stato scritto dal leader del gruppo, Ibrahim Ag Alhabib. Il suono è quello del desert blues, con elementi acustici e folk imbevuti di melodie berbere. Questo album segna ancora una volta una condizione di esilio: dal nord Africa si passa al di là del mare d’acqua che un tempo è stato attraversato da altri figli del continente nero, i quali diedero origine allo spiritual, al gospel, al jazz e al blues. Un esodo musicale quello dei Tinariwen dettato dalla guerra in Mali e dall’instabilità continua delle popolazioni tuareg.
«Gli ideali del nostro popolo sono stati svenduti amici miei / Una pace imposta con la forza è destinata a fallire / e apre la strada all’odio» cantano i Tinariwen nel brano “Toumast Tincha”. Questi fieri figli del Sahara si confermano così la band portavoce della cultura tamashek e di quella dei popoli nomadi che, nei deserti del mondo, trovano la loro identità.

Silvia C. Turrin

L’articolo è on line anche sul sito di Afriche SMA

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