Il continente africano è ancora considerato di serie B rispetto ai Paesi del nord del mondo, ovvero quelli tecnologicamente e industrialmente più avanzati. Lo dimostra per esempio il fenomeno dell’invio in terra africana di farmaci europei scaduti: un “regalo” paternalistico che svela le malformazioni culturali ancora diffuse tra quanti credono “di soccorrere” il cosiddetto Terzo Mondo. Tanti altri sono gli “aiuti” provenienti non solo dall’Europa, che si rivelano però altamente nocivi per i paesi africani. È il caso delle apparecchiature elettriche ed elettroniche vetuste, ormai inservibili agli abitanti delle nazioni ricche, dirottate e depositate in Africa: un vero mercato che produce soltanto discariche deleterie in un continente che non ha le capacità, né le risorse economiche per bonificarle.
Si pensi che solo nel 2009, gli europei hanno rifilato all’Africa quasi 220mila tonnellate di oggetti simili, dei quali soltanto un terzo è effettivamente utilizzabile: il restante è ammassato in luoghi più o meno lontani dai centri abitati, che col tempo si trasformano in siti con un elevato grado di inquinamento. L’aspetto che rende ancor più tragica la questione è il fatto che molte apparecchiature guaste o obsolete sono smerciate dai mercati occidentali con la definizione di “donazioni”. I porti della Nigeria e del Kenya sono carichi di queste forme di elargizioni: un regalo davvero “generoso” che mette a rischio la salute dii milioni di africani.
Il dibattito sull’invio di rifiuti in Africa non è una novità. Già nel 1989 venne stipulata la Convenzione di Basilea sul controllo del movimento transfrontaliero di rifiuti pericolosi e il loro smaltimento, seguita poi dalla Convenzione di Bamako (1991) sul bando all’importazione e il controllo del movimento transfrontaliero di rifiuti pericolosi in Africa. Le Convenzioni spesso rimangono sulla carta e non vengono di fatto applicate. Il documento stilato nella capitale del Mali due decenni fa ha mosso passi concreti per la sua effettiva attuazione solo quest’anno. Nel mese di giugno 2013, si sono riuniti, ancora a Bamako, 24 nazioni africane – tra cui figurano Benin, Burkina Faso, Burundi, Camerun, Costa d’Avorio, Niger, Gambia, Mali, Mauritius, Niger, Senegal, Togo e Tunisia – accomunate dalla volontà di concretizzare la Convenzione sul “Divieto di importazione in Africa e sul controllo dei movimenti transfrontalieri e di gestione dei rifiuti pericolosi”.
Le prime azioni fissate intendono fermare la nascita di altre discariche colme di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche e ciò presuppone andare all’origine del problema. Quindi è prioritaria la necessità di colpire quei produttori che non incentivino il recupero delle scorie elettriche. Importante anche creare e applicare leggi specifiche nei singoli paesi africani capaci di prevenire il traffico illegale e l’importazione di rifiuti pericolosi nel proprio territorio.
Anche dalla prospettiva dell’Unione Europea qualcosa si muove, attraverso Direttive che spingono i paesi membri a riciclare i prodotti elettronici. Tuttavia, anche le Direttive, così come le Convenzioni, rimangono inapplicate. Negli anni futuri, si aggraverà sempre più il problema dello smaltimento dei rifiuti elettronici e tossici. Il varo di leggi ad hoc è importante; tuttavia è indispensabile una politica di controlli e di vigilanza e soprattutto la volontà delle nazioni più ricche di modificare atteggiamento e politica verso il continente africano. Una terra popolata da donne e uomini che hanno la stessa dignità e lo stesso diritto di un europeo o americano a vivere in un ambiente sano, non più avvelenato dagli scarti di quei paesi colpevoli di consegnare sulle coste altrui rifiuti altamente nocivi.
Silvia C. Turrin – l’articolo è stato pubblicato sul Notiziario Focus on Africa