Mauritania. Le donne Imraguen e la tradizione della bottarga

la pesca e le donne Imraguen

Nell’immaginario collettivo dell’europeo medio la Mauritania è spesso dipinta come nazione povera e desertica. È uno dei Paesi con la minor densità abitativa del mondo e non è una meta del turismo di massa. Il suo territorio è, in effetti, prevalentemente desertico, ma un settore che potrebbe dare ottimi “frutti” alla popolazione è la pesca. Ci si dimentica che questo paese dell’Africa nord-occidentale, si affaccia ad ovest sull’Oceano Atlantico, e che l’area che si estende al largo delle sue coste è una fra le più pescose al mondo. In particolare, durante gli anni Ottanta dello scorso secolo, il settore della pesca ha conosciuto un forte sviluppo, grazie sia a una serie di accordi di cooperazione con altri Paesi, sia all’estensione del monopolio di Stato all’esportazione dei prodotti ittici. Tuttavia, negli ultimi anni, il settore, soprattutto quello dei piccoli pescatori, è minacciato da un sistema definito perverso: le flotte industriali – per la maggior parte straniere – razziano il suo mare ricco e pescoso a discapito delle comunità locali, come ha denunciato l’associazione Slow Food. La crisi del comparto è peggiorata quando, nel 2006, la Mauritania, in cambio di una riduzione del debito pubblico, ha venduto all’Unione Europea i diritti di pesca, favorendo così una nuova forma di colonialismo. Come evidenzia Slow Food, i pescherecci industriali assumono e finanziano i pescatori locali e il pesce è surgelato e trasferito altrove per la lavorazione, principalmente nel nord dell’Africa e in Europa.

Queste pratiche hanno forti ripercussioni non solo sul pescato, ma anche sulle tradizionali attività legate alla produzione di bottarga. Questo cibo pregiato era un tempo lavorato diffusamente dalle donne Imraguen. Gli Imraguen della Mauritania si differenziano notevolmente dagli altri gruppi sociali del paese “fatto di sabbia e di pietra”, non solo per le loro origini (una fusione tra antichi Berberi, misteriosi indigene e neri), ma anche per la loro attività fortemente specializzata nella pesca. Per questo gli Imraguen sono stati spesso considerati e trattati come paria. Sul piano commerciale però potevano contare su una grande quantità di pescato, almeno sino a qualche decennio fa. Le donne Imraguen sono brave a lavorare le uova di muggine, che diventano la nota “bottarga” dopo essere state sottoposte a salatura, pressatura ed essiccazione. Il termine bottarga sembra che derivi dall’arabo butarikh, che significa “uova di pesce salate”. Forse questa specialità delle donne Imraguen nasce proprio da atavici influssi berberi.

Tale attività tradizionale rischia di venire schiacciata e dimenticata a causa dell’agguerrita concorrenza della pesca industriale. Grazie però all’intervento di Slow Food, le donne Imraguen che lavorano a Nouadhibou e Nouakchott (principali porti del Paese), sono state aiutate a migliorare la produzione, la vendita dei trasformati e la scelta di nuovi mercati. Questo è stato possibile attraverso la fondazione di un presidio di Slow Food. Il progetto permette di tutelare la biodiversità locale e i prodotti trasformati, in questo caso le uova di muggine. È altresì una difesa delle conoscenze tramandate di generazione in generazione, che hanno garantito la salvaguardia dell’ecosistema delle coste della Mauritania. La pesca industriale rischiava di uccidere questi saperi e queste attività. Per fortuna, c’è chi si batte pacificamente per una pesca eco-sostenibile, capace di proteggere le specie ittiche che popolano le acque della Mauritania, paese che altrimenti soccomberebbe davvero alle sabbie desertiche.

Silvia C. Turrin
L’articolo è on line anche sul sito SMA a servizio dell’Africa

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