Il libro di Folly G. Ekue L’Africa nera deve unirsi ci offre lo spunto per ricordare illustri africani che hanno dato voce a un Continente a volte dimenticato, a volte saccheggiato; un Continente che ha bisogno di una vera e non effimera unità per poter uscire dal limbo dello sfruttamento
“Un giorno la storia dirà la sua… L’Africa scriverà la propria storia”. Così auspicava e prevedeva Patrice Lumumba, fondatore del Mouvement National Congolais (MNC), figura centrale nel processo d’indipendenza dell’ex Zaire, assassinato il 17 gennaio 1961. La speranza di Lumumba si sta sempre più concretizzando. Gli africani stanno scrivendo la storia, non la “loro” storia, ma la storia così come si è sviluppata in questi secoli. Tra le prime voci autorevoli di questa “riscrittura della Storia” da un punto di vista non eurocentrico è doveroso citare Cheikh Anta Diop (1923-1986) storico, antropologo e fisico senegalese (di cui avevamo scritto nell’articolo “Il risveglio dell’Africa grazie a Cheikh Anta Diop”), che ha rivoluzionato le origini dell’antica civiltà Egizia. Non possiamo nemmeno non ricordare l’illustre Amadu Hampaté Bâ (1900-1991), scrittore, filosofo e antropologo maliano autore di libri quali Il saggio di Bandiagara e Amkoullel, il bambino fulbe.
L’Africa sta scrivendo la propria storia e lo dimostrano numerosi libri usciti nel Vecchio Continente, in questa “fortezza Europa” che guarda ancora all’Africa da una prospettiva fondamentalmente paternalista ed eurocentrica, con l’intento – mai sopito – di accaparrarsi le risorse non solo naturali e minerarie, di questo grande, composito Continente.
Abbiamo più volte parlato delle analisi di Aminata Dramane Traoré, donna maliana coraggiosa e autentica, che ha dato voce all’Africa sul piano politico, sociale e letterario e ha più volte criticato la politica neo-colonizzatrice di Sarkozy, nonché l’intervento militare della Francia in Mali (tanto da vedersi rifiutare nel 2013 il visto dalla Francia in occasione del ritiro del prestigioso Passeport de Citoyenneté Universelle). Alcuni suoi libri tradotti in italiano devono essere letti, come L`Immaginario Violato, Ponte alle Grazie, 2002 e L’Africa umiliata, Avagliano, 2009 (in proposito si vedano i nostri articoli Aminata Traoré. La forza delle donne africane e In un nuovo libro Aminata Traoré e Boubacar Boris Diop si confrontano sullo sfruttamento dell’Africa).
L’Africa sta scrivendo la sua storia e lo testimonia anche il saggio del togolese Folly G. Ekue L’Africa nera deve unirsi (Editori Internazionali Riuniti, 2014). Ispirandosi chiaramente a uno dei testi simbolo del panafricanismo dal titolo Africa must unite di Kwame Nkrumah, primo presidente del Ghana indipendente, Folly G. Ekue traccia un percorso analitico in cui spiega i successi e gli insuccessi del movimento panafricanista. Successi e insuccessi dettati da molteplici fattori, interni ed esterni all’Africa. Con numerosi riferimenti e dati di carattere storico ed economico, l’Autore spiega al lettore le tappe fondamentali e cruciali che hanno portato alla nascita dell’Unione Africana: un’Unione che fu fortemente voluta dal libico Gheddafi (e i cui progetti facevano tremare alcune nazioni europee, tra cui la Francia di Sarkozy), ma che rimane ancora lontana da quanto auspicato dal lungimirante Nkrumah.
Folly G. Ekue ci ricorda che l’effettiva entrata in vigore del Trattato che istituiva l’Unione Africana avvenne solo nel 2001, molti anni dopo la nascita dell’organizzazione per l’Unità Africana del 1963. In questi decenni, il Continente è rimasto di fatto diviso, per cause sia interne (per esempio, per la forte corruttibilità e la smania di potere e denaro di alcuni uomini politici africani, come Mobutu Sese Seko che viveva nel lusso mentre i congolesi morivano per effetto di un conflitto alimentato dal saccheggio delle risorse nazionali, o come il liberiano Charles Taylor, accusato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità, N.d.R.), sia esterne. Quest’ultime, a leggere il libro Folly G. Ekue, dovrebbero far riflettere l’italiano che deplora l’arrivo degli africani in terra europea. La disunità dell’Africa, delle sue nazioni, è frutto di due “peccati originali” compiuti proprio dagli europei: la tratta di donne e uomini africani deportati dalla loro Madre Terra, e le politiche colonialiste-imperialiste.
Il primo “peccato originale” dell’europeo-occidentale ha allontanato milioni di donne e uomini dall’Africa (i numeri esatti sono impossibili da decifrare, visto il contesto di quell’epoca in cui avvenivano le razzie da parte degli schiavisti), privando il Continente di persone che avrebbero potuto cambiare le sorti dei loro paesi, attraverso il loro lavoro, le loro idee, la loro creatività. Questa migrazione forzata di esseri umani ha di fatto avvantaggiato le economie dei paesi europei e l’economia della nascente nazione statunitense: senza quella “forza-lavoro” la rivoluzione industriale e lo sviluppo del capitalismo avrebbero assunto forme ben diverse. Da questa prospettiva, è l’Africa ad assumere il ruolo di creditrice, cui spetta un risarcimento da parte di quelle nazioni arricchitesi con la tratta dei neri e con il lavoro degli africani resi schiavi, a dispetto dell’etica protestante e dei principi cristiani.
Il secondo “peccato originale” dell’europeo-occidentale, ovvero il colonialismo, ha destrutturato il modus vivendi dei popoli africani, costringendoli ad adottare economie, culti religiosi, stili di vita a loro prima estranei. Un vero shock, che ha poi portato alla costruzione di stati-nazione dai confini decisi a tavolino dalle cosiddette potenze occidentali. Basta guardare la mappa dell’Africa per capire quanto il colonialismo abbia condizionato le vicende politico-sociali di interi paesi, dividendo popoli che da sempre vivevano in pace tra loro, e unendo invece popolazioni tra loro culturalmente differenti.
Anche da questa seconda prospettiva, l’Africa risulta creditrice: a lei spetta un grosso risarcimento da parte di tanti paesi occidentali, inclusa l’Italia, per effetto del saccheggio delle sue risorse naturali e minerarie avvenuto durante il periodo coloniale.
Nonostante questi “peccati originali” dell’Occidente – qui descritti in modo molto sintetico – è l’Africa la debitrice nei confronti di chi l’ha sfruttata e di chi continua a sfruttarla. Come ci spiega Folly G. Ekue, sull’Africa pesa il cosiddetto “debito d’indipendenza” (anziché un diritto, si è trasformato in un debito! N.d.R.). Scrive l’Autore di L’Africa nera deve unirsi: “Il debito d’indipendenza è la somma di denaro che le colonie sono tenute a versare al paese colonizzatore per i beni, i servizi, le imprese e tutte le opere che diventano di proprietà della colonia al momento dell’indipendenza”. Questo dovrebbe scandalizzare chiunque sia dotato di sensibilità e di onestà intellettuale: perché non vengono conteggiate tutte le ricchezze che il paese colonizzatore ha “rubato” alla sua colonia? Si pensi per esempio al saccheggio dei minerali nell’ex Zaire da parte del minuscolo Stato del Belgio.
Si spiega perché personaggi come Kwame Nkrumah, ma anche come i meno noti Julius Nyerere (padre della Tanzania indipendente e assertore di un socialismo africano chiamato ujamaa) e Anton Lembede auspicassero un’unità africana. Sebbene non venga citato da Folly G. Ekue, è bene qui ricordare quanto Anton Lembede affermasse già nel 1946: “Gli Africani sono i nativi dell’Africa, ed essi hanno abitato l’Africa, loro Madre Terra, da tempi immemorabili; l’Africa appartiene a loro… Fuori dalle tribù eterogenee, deve emergere una nazione omogenea”. Anton Muziwakhe Lembede fu una figura centrale della corrente africanista negli anni ’40 del secolo scorso, e divenne primo presidente dell’African National Congress Youth League (come segnalo nel libro “Il movimento della Consapevolezza Nera in Sudafrica. Dalle origini al lascito di Stephen Biko, Genova, Erga, 2011).
“L’Africa nera deve unirsi” è l’invito che Folly G. Ekue rivolge agli africani in Africa e agli africani della diaspora. Osservando il passato e il presente, vogliamo concludere con questa riflessione. La questione dell’unità africana non è solo una questione puramente africana, ma più globale, poiché l’economia e gli interessi politici sono ormai globalizzati. L’unità africana sarà possibile quando finirà la neo-colonizzazione dell’Africa da parte del cosiddetto Nord del mondo e quando i rappresentanti politici africani non saranno più corruttibili. Serve un cambio di paradigma socio-economico globale, che interessa l’Africa, così come il resto del globo. È necessario un nuovo paradigma socio-economico, perché non è più possibile ragionare secondo vecchie logiche del più forte che controlla e sfrutta il più debole; del più furbo che aggira l’ingenuo; del potente che si arricchisce a spese di cittadini e contribuenti.
Ciò che accade in Europa e negli Stati Uniti ha riflessi in Africa e ciò che accade in Africa ha riflessi in Europa e negli Stati Uniti. È necessario unire le menti più brillanti, più sagge, con alto spessore morale, per eliminare lo sfruttamento “dell’altro”, a qualsiasi latitudine.
Silvia C. Turrin