Ghana, sulle tracce della tratta degli schiavi

È ormai da vari anni che l’UNESCO, in collaborazione con l’Organizzazione mondiale del turismo (OMT) e con l’Unione africana (UA), ha promosso il programma “Le rotte della schiavitù”. Si tratta di un progetto che ha come obiettivo l’identificazione, il restauro e la promozione di quei luoghi scanditi dalla drammatica tratta degli schiavi. Forti, castelli, porti, isole di varie zone dell’Africa hanno rappresentato siti dove donne, bambini e uomini venivano selezionati e smistati, per essere poi venduti e spediti oltre oceano. Identificare e catalogare quei luoghi dove si è consumato questa vergogna dell’umanità è doveroso per non dimenticare. Abbiamo già raccontato in un precedente articolo le vicende legate all’isola di Gorée, in Senegal. Di seguito rimaniamo nell’Africa occidentale parlando del Ghana e dei forti, nonché castelli tutelati dall’UNESCO.

Antiche vestigia della schiavitù in Africa Occidentale

Prima di subire l’estenuante viaggio verso le Americhe, gli africani venivano riuniti in centri costruiti dai colonizzatori europei, per poi essere imbarcati sulle navi negriere. Molti di questi luoghi erano forti situati in prossimità dell’oceano. Lungo le coste dell’Africa Occidentale, una delle più antiche strutture di questo tipo è São Jorge da Mina, l’attuale El Mina in Ghana. Costruita nel 1482 dai portoghesi inizialmente per proteggere il commercio dell’oro, la fortificazione-castello divenne in seguito il punto di smistamento degli schiavi prima di essere imbarcati verso il Nuovo Mondo. Con l’indebolimento del Paese lusitano, nel XVII secolo, il forte passò sotto il controllo degli olandesi e poi ancora dei britannici. Fra le città ghanesi di Keta e Beyin, si trovano altre strutture simili, fondate tra il 1482 e il 1786, tutte iscritte dall’Unesco nel Patrimonio dell’umanità. A Cape Coast, si susseguono una serie di edifici che ricordano quella tragica epoca storica, come Fort Victoria, Fort William e Fort MacCarthy, costruiti dagli inglesi tra il 1702 e il 1822. Lungo la costa, non molto distante dalla capitale Accra, domina l’imponente Castello, al cui interno è stato realizzato un museo, che raccoglie oggetti, immagini e reperti della schiavitù in Ghana: Paese che ha rappresentato una delle più importanti riserve di oro per i portoghesi prima della scoperta dei ricchi giacimenti brasiliani. Non per niente veniva chiamato “Costa d’Oro”.

Una tratta disumana lunga diversi secoli

 

Nel corso del ’400, i portoghesi iniziarono ad acquistare schiavi per poi rivederli in cambio del tanto ambito oro. Ciò avveniva principalmente lungo le coste dell’Africa Occidentale. Il commercio di esseri umani, seppur deprecabile, aveva ancora dimensioni esigue. L’evento che modificò completamente il numero degli scambi fu la colonizzazione delle Americhe. Il Nuovo Mondo – dalle isole caraibiche al Brasile, passando per il Nord America – aveva bisogno di un’incredibile quantità di manodopera per la coltivazione delle sterminate piantagioni di cotone, caffè, cacao, zucchero. E l’Africa rappresentava la migliore riserva di lavoratori, abbondanti, resistenti e a costo zero, da poter impiegare nelle nuove terre. Dal XVI secolo ha così inizio il lucroso commercio triangolare portato avanti prima dai portoghesi e spagnoli, poi intensificato da inglesi, francesi e olandesi.

I negrieri europei acquistavano schiavi dai capi tribù africani o da mercanti arabi in cambio di prodotti europei. Una volta selezionati gli schiavi e smistati, le navi negriere partivano con il loro carico di esseri umani in direzione delle Americhe, dove gli schiavi – chiamati anche “legno d’ebano” per il colore della pelle – venivano venduti. Il ricavato era utilizzato dai negrieri per acquistare prodotti tropicali che venivano poi rivenduti in Europa. Questo traffico si incrementava sempre più, man mano che nel Vecchio Continente si diffondevano nuove mode e nuovi stili, come il consumo di cioccolata, caffè, zucchero, tabacco. Così, l’Africa fu letteralmente spogliata della forza e della vitalità di milioni dei suoi abitanti. Il continente ha perso generazioni e generazioni di uomini e donne resistenti – perché i negrieri sceglievano accuratamente “la loro merce” – e ciò ha avuto pesanti ripercussioni sullo sviluppo dell’Africa stessa, senza contare gli effetti psicologici, come la percezione di “inferiorità”, che la tratta ha provocato nei popoli africani.

Silvia C. Turrin

Foto: Pixabay; Afro Tourism; Culture Trip.

L’articolo è consultabile anche sul sito web SMA Africa

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